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"Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura"
Così scrive Munch ricordando un episodio di vita che lo ha ispirato nella realizzazione dell’Urlo.
L’opera è riuscita a cogliere l’angoscia e l’assurdità in cui siamo catapultati in maniera iconica e indimenticabile.
La mia ricerca coreografica ha avuto fin dal principio come motore la tragedia, la piccolezza dell’uomo nell’immensità dell'universo.
Il grido sordo del quadro - di cui decido di conservare il titolo norvegese che fonicamente riporta ad un suono sgradevole, un’urto, una scossa - sembra deformare il paesaggio donandoci instabilità e paura, conservando comunque la sua immensa bellezza. Aggrappandomi a questo dualismo che sento vicino, mi piacerebbe poter creare un momento danzante che possa essere un accumulo senza fiato di tutto il malumore di questi ultimi anni ma arrivare agli occhi del pubblico come una cascata rigeneratrice.