“Samia” comincia da una storia vera, quella di Samia Yusuf Omar, la giovane atleta somala morta nelle acque di Lampedusa mentre cercava di raggiungere l'Europa per qualificarsi alle Olimpiadi.
È la storia vera di una vita spezzata a dare inizio alla mia ricerca, che oggi si consegna al pubblico in sei corpi, tutti diversi, perché nel nostro presente, nonostante lottiamo per questo, non siamo ancora tutti uguali.
Eppure tutti, ancora, desideriamo. Corriamo.
Con questo lavoro non posso riscrivere una vita che non ho vissuto, ma posso contribuire a ricordare Samia Yusuf Omar
e chi, come lei, lotta ogni giorno per la propria corsa, non solo come una vittima.
Bensì come persone che s’impegnano a scegliere chi vogliono diventare.
In sala ho lavorato con le performer riflettendo sui nostri desideri e sui limiti che il mondo ci pone per forzare i confini dentro e fuori dal corpo e provare a inseguire la libertà che dà l’autodeterminazione.
Una conquista che, nonostante il privilegio di poter guardare il mare, resta ancora un sogno, ancora un’utopia.
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